La città è anche le sue pause verdi. Parchi, giardini, corti interne, orti botanici, lungomari, lungofiumi.
Pause che sono la poesia di una città, l’accapo di un verso nel senza fiato quotidiano. Nel nostro horror vacui fanno da inciampo, motivo di incontro con gli altri e con noi stessi.
Anche le incursioni dell’arte nel tessuto urbano restituiscono la medesima dilatazione del tempo, in particolare quando è la natura ad esserne il soggetto protagonista. E l’urban art ha portato la natura sulle medianeras di tutto il mondo.
Il mio primo incontro con le medianeras è stato a Buenos Aires, in un film argentino molto delicato del 2011 che porta lo stesso nome. Si tratta di rimanenze urbane a cui non si fa caso. Quale luogo migliore per un pezzo di Urban Art? Medianeras è un termine puntuale spagnolo che indica le pareti cieche dei palazzi abitati, perché quello adiacente è stato buttato giù o è in attesa di essere tirato su oppure semplicemente non è previsto nulla. Ci si gira intorno, ma può essere difficile raggiungerle e a guardarle di scorcio in quel vuoto sembra esserci un’attesa.
Forse l’attesa di una nuova vita artistica.
E allora scelgo questi muri e restringo il campo sulla base del soggetto: la Natura, nelle sue diverse accezioni. Una pausa dal sistema cittadino che comunque sottende altro, in generale un’attivazione critica su ambiente, fauna e flora (e società) da parte dell’artista. Sotto la veste di un’immagine di una serenità disarmante salta fuori un “poniti una domanda, se mi vedi, tu che passi guardami, al mondo c’è questo e questo (e giù la lista) che va e non va bene e potrebbe andare peggio se, c’è un se, non fai qualcosa“ ci dice il pezzo su muro. E noi stiamo al gioco. I curiosi approfondiscono, ma è lecito anche solo rimanerne estasiati, la prima volta.
TELLAS spiazza per la naturalezza nel riportare i colori di cieli, terre e mari in un erbario rigoroso e immenso su muro, mescolato però come se fosse lanciato in aria all’improvviso e poi cadesse su uno strato di foglie o di fogli perfettamente distinguibili, o di olive, o pietre – mi piace pensare alle pietre di scarto con cui sono fatti i nuraghi sardi da cui lui prende il nome. C’è molto studio e catalogazione che, filtrati con la memoria, danno il giusto effetto empatico.

Come in ROBERTO CIREDZ. Ma se devo dire un ramo, il suo sarebbe la geomorfologia: dà anima alle curve di livello in altitudine e profondità, con l’effetto di trapassare acqua e roccia: un monte, una stratificazione geologica, una fossa marina, un promontorio, un ghiacciaio – e se con un tonfo sordo se ne staccasse una porzione, ecco il peso della storia della Terra, e il cambiamento di Ere a venire. Personalmente sono stata sul Glossglockner (in Austria) e sul Perito Moreno (in Argentina), e nel ricordo dell’effetto di un sasso sul ghiaccio, che riscaldato al sole crea buche e pozze in toni di blu – graficamente geometrici – ritrovo Ciredz.

I muri di ERICAILCANE sono gigantografie di illustrazioni e, nonostante il carattere favoloso-fantastico, non potete non notare il colto riferimento all’approccio scientifico del caro vecchio Dürer, mixato con una sottile ironia british che ricorda le vignette vittoriane. Per la lettura, passateci del tempo, che è tempo ben speso. A volte serve leggere un racconto, visti i suoi riferimenti puntuali. Penso al “Colombre” di Dino Buzzati (l’ho letto qui: “Il Bestiario di Dino Buzzati – L’Alfabeto dello Zoo“, Oscar Mondadori), che torna nel Serpente di Mare a Ravenna.
E poi ci sono i viaggi: l’ultimo in Amazzonia con HITNES e BASTARDILLA ha portato alla pubblicazione Fin Qui Ve La Posso Raccontare che tra poco, l’8 ottobre, va in mostra con i disegni originali a Modena, curata da D406, per il Festival DIG.

Molti urban artists hanno una vera e propria missione nel dare voce a quella tanta parte di Natura che fatica a mantenere il proprio spazio-tempo, contro la nostra ansia di futuro che, volente o nolente, stermina. I NEVERCREW (un duo) si inseriscono perfettamente in questo filone e, attraverso le loro opere iperrealistiche su scala monumentale, con macchinari appena visibili e animali che si prestano a pose spesso bloccate e colorazioni inconsuete, stimolano l’interazione di pensiero ed emozione.

Poi c’è ROA, che porta il più triste ma bellissimo passaggio di animali su muri mai visto. Cataste pelose di roditori, marsupiali, canidi e volatili, compressi o fluttuanti, a volte ribaltati: pensate alle bestiole come insetti a pancia all’aria, ed ecco che quell’incapacità di resistere e reagire prima annichilisce, poi suggerisce pensieri di morte e decomposizione.

Se pensate che sia allegro e spensierato tutto ciò che è colorato, meglio che guardiate a terra a testa bassa solo il grigio dell’asfalto, perché l’arte per le strade spesso schiaffeggia – ma con il sorriso.
IENA CRUZ, ad esempio, ci offre rebus arguti sulle problematiche ambientali usando colori eco-friendly. E ci ipnotizza con il suo mantra, attirati da quell’occhio che sempre appare nei suoi lavori, che altro non è che l’orbita di un teschio messicano, ovvero la calavera decorata e usata come ricordo e offerta nel día de los muertos a novembre.

Spostandoci sul campo dell’oritnologia, ATM è l’esperto. Alle sue creature fatte a pennello e tavolozza, alla maniera classica, manca solo il cinguettìo. Ma chissà per quanto ancora quegli stessi uccelli – ma veri – canteranno, visto che lo studio sistematico dell’artista prende in rassegna quelli in pericolo di estinzione.

E poi giri l’angolo e ti trovi faccia a faccia con un riccio di tre-quattro metri, dal tipico occhio spaurito e un po’ stralunato, e in più scorgi in lui un accenno di sorriso quasi a dire “qui non mi acciacchi, anzi”. BORDALO II lavora in 3D su muro, portando i suoi animali a sporgersi dal fondo in bassorilievi contemporanei. I materiali sono di scarto, i colori vanno dal realistico al fluo-pop molto 80’s, a volte in combinazione. Ricicla plastiche, lamiere, legni, indifferentemente se identificabili o meno nell’utilizzo originario. Ho riconosciuto un trolley da bambina, la pala di un remo, brandelli di grate, mezza elica da barca, un copertone tranciato, in pezzi diversi su palazzi che si risolvono altrove anche in sculture a tuttotondo (sempre pezzi di Urban Art per strada, a intenderci).

Parlando di effetti 3D, gli animali di ODEITH escono dal muro quasi a respirare la nostra stessa aria, grazie a un’illusione ottica che è tornata in voga tra alcuni artisti, ma che le radici rinascimental-barocche la ricordano con il termine astruso di anamorfosi. Immagini anamorfiche – dal greco, formare di nuovo: ovvero proiezioni studiate con attente regole geometrico-prospettiche che, se osservate dall’unico punto esatto definito dall’artista, danno l’illusione di un oggetto tridimensionale, altrimenti frontalmente deformato, allungato all’inverosimile e assolutamente illeggibile.

Natura è anche energia e connessione. Il lavoro indoor e al buio di MARINA ZUMI con fili e fasci di luce geometrici si trasforma all’aperto in convivenze di anime animali in un universo nero ma percorso da bagliori luminosi. Stelle, costellazioni, segnali di vie percorribili nel caos di nebulose astratte. Musi di animali selvatici in close up paiono maschere di oracoli moderni, pronti a dare una rivelazione al passante che si ferma. Uno scenario molto attraente che ha del magico, in un posato equilibrio tra la natura geometrica del mondo (risuona Fibonacci) e l’incommensurabile enigma di creazione e vita.

Andate a guardare anche i muri di LUCAMALEONTE, LIQEN, MANTRA, ETIEN, MONA CARON, TAQUEN, 1010, PANTONIO, ABYS OSMOZ, ALEXIS DIAZ, MADEMOISELLE MAURICE, HAYLEY WELSH, GIO PISTONE. Li conoscete?
E come non citare infine lui, BANKSY. Dico Banksy e penso ai ratti graffitari, i suoi topi monocromi a stancil o a tratto infantile che furtivamente scrivono su muro in rosso colante. Scrivono: because I’m worthless (perchè non valgo nulla), our time will come (verrà il nostro tempo). Le storie di ratti sono storie di sopravvivenza metropolitana. C’è il radar-rat, il gangster-rat, la serie love-rat, l’umbrella-rat, paparazzi-rat, parachuting-rat (i paracadutisti). Fanno tutto. E come non citare il Pest Control Office per la deratterizzazione dei falsi? Non avendo una galleria che lo rappresenta, Banksy ha questo ufficio apposito per autenticare i suoi lavori su carta. Se ne avete uno, scrivetegli.
Per concludere, girate sempre dietro l’angolo, guardate in alto sui palazzi e prendetevi una pausa. Potrebbe esserci un messaggio importante.
Pause Verdi è la rubrica che Biosfera dedica ai luoghi che interrompono le conformità dell’ordito urbano. Piazze, aree verdi, strutture rigenerate: luoghi di aggregazione, meditazione, connessione con la città e la contemporaneità. Una cesura nei vari livelli di isolamento e autosegregazione che caratterizzano le strade e le palazzine dei centri urbani.
Storica dell'arte e autrice di base a Roma, ama viaggiare in solitaria per nuove ispirazioni. Scrive articoli, racconti e poesie. Ha pubblicato rubriche per Exibart on Paper, Inside Art, Arte e Cronaca, Marco Polo. Specializzata in arte contemporanea con master in business, è tour designer e guida turistica a Roma per visite private, e collabora a programmi di Università italiane e statunitensi.
È autrice e voce di Il Mio Bestiario, podcast settimanale con "brevi storie di animali strani molto umani".