Mezzo Pieno / Un nuovo senso del luogo

Con Mezzo Pieno, raccogliamo testimonianze e riflessioni di chi si occupa a vario titolo di editoria, istituzioni, produzione culturale, turismo, inclusione, ricerca scientifica, ambiente, disabilità, psicologia, giornalismo e design attorno alla domanda: cosa possiamo salvare dell’anno della pandemia?

Oggi risponde Samyra Musleh, caporedattrice The Trip

Un nuovo senso del luogo

Metamorfosi linguistica per un nuovo senso del luogo

Parole che sono state fraintese e hanno assunto un senso dispregiativo o forzatamente encomiastico, alla fine sono diventate parte integrante del nostro senso del luogo

Samyra Musleh

Quando mi è stato chiesto di lasciare un contributo a nome della mia redazione per raccontare cosa, di quest’anno ancora difficilissimo da metabolizzare, si possa salvare, mi sono detta: «certamente non essere tra i “sommersi”».
E per sommersi intendo non solo chi dolorosamente ci ha lasciato, ma anche chi ha abbandonato l’idea di poter rinnovare la propria visione esistenziale per la costruzione di una nuova, seppur effimera, visione del quotidiano, nello spazio e nel tempo.
Un quotidiano tremendo, si potrebbe indubbio definire, ma che senza accorgercene, siamo stati capaci di sconvolgere e ricostruire.

Nella nostra redazione, giornalisti, scrittori e reporter di viaggio sono stati immobilizzati all’improvviso nelle proprie scatole esistenziali, perdendo d’un tratto la propria linfa creativa. Si sono trovati senza avere più la possibilità di alimentarsi del più fondamentale dei nutrimenti, l’alterità e il suo eccitante stimolo nel confrontarsi con persone e trovarsi in luoghi e condizioni sempre differenti.
Uno stop alla mobilità fisica, che per un po’ ha imprigionato anche il pensiero itinerante. L’abbandono improvviso dell’esperienza autentica e diretta di un costante rinnovato senso del luogo.

E proprio riflettendo su questo concetto, rispolverando un antropologo e linguista che ne ha trovato la definizione, mi sono detta che, forse, questo nuovo senso del luogo, in questo tempo sospeso vale la pena di essere salvato.
Lontano da qualsivoglia atlante geografico, questo nuovo spazio è stato definito non solo dai «processi e le pratiche culturali, tramite le quali i luoghi assumono il loro significato», ma anche dalle connotazioni linguistiche, parole “nuove” che sono entrate nel nostro vocabolario quotidiano e lo hanno caratterizzato.
Vocaboli che sono stati sottolineati, virgolettati, recitati, gridati e trascritti a caratteri cubitali e non sono stati oggetto di interesse solo per filologi o linguisti, sono rimasti impressi nel nostro linguaggio comune.
Parole che sono state fraintese, hanno assunto un senso dispregiativo o forzatamente encomiastico, ma alla fine sono diventate parte integrante del nostro senso del luogo.

Salviamo il lockdown.
Nessuno ci aveva mai confinati. Nessun occidentale della nostra generazione era stato mai costretto a restare così a lungo nella propria abitazione, per cause di cui non fosse l’artefice. Lo hanno chiamato confinamento, clausura, poi a poco a poco, per coloro che lo hanno vissuto in uno spazio protetto, è diventato un isolamento introspettivo; un microcosmo di cui prendersi cura, uno spazio che poteva riflettere noi stessi, dove rallentare e poi fermarci. Abbiamo capito che non avevamo il diritto di paragonarlo ad una detenzione, e ne abbiamo apprezzato il vincolo, che finalmente ci ha imposto di rallentare e poi fermarci, magari per ripartire in seguito con maggiore consapevolezza.

Salviamo la resilienza.
Superiamo la visione dei superuomini o delle superdonne. Non ci deve solo rendere più forti quello che non ci uccide, né tantomeno lo dobbiamo assorbire. Abbiamo imparato a proteggerci, ad essere flessibili, a rinunciare al superfluo, a cercare compromessi e ad adattarci come organismi resilienti, come ogni viaggiatore che si rispetti.

Salviamo il turismo di prossimità.
Diamo valore ai nostri luoghi di partenza. Quelli dell’ispirazione prima di un viaggio. Il nostro nuovo senso del luogo è dettato da riscoperte inattese, da luoghi inscritti in percorsi inediti, fatti di nuovi riconoscimenti culturali, storici e naturalistici a due passi da casa nostra, ovunque essa sia.

Salviamo la mobilità lenta.
Non è solo una questione ambientale, legittima di essere al vertice, tra le motivazioni di questo salvataggio. Nella mobilità lenta e sostenibile prendiamo questo tempo di transizione da un luogo ad un altro come un nostro tempo, e non solo come uno strumento di mediazione.

Salviamo la FAD, la DAD e lo smart working.
Facciamolo, trasformandoli in spazi agevolati per lavoratori e studenti, come strumenti di interconnessione simultanea per acquisire maggior tempo libero nella propria vita. Non lasciamo che siano uno strumento che possa accentuare il distanziamento sociale e culturale. Mettiamo a punto l’efficienza di una collaborazione sincronizzata tra persone di punti del globo opposti. Distruggiamo confini, barriere e limitazioni.

Salviamo la Ri-apertura.
L’istante esatto in cui dopo il primo lockdown abbiamo ri-visto il mare o un paesaggio campestre. Quello in cui abbiamo ri-preso un aereo, abbiamo ri-fatto l’amore, ci siamo ubriacati, affacciandoci in luoghi apparentemente originali e vergini, che in realtà ben conoscevamo. Una scossa di adrenalina pura, l’esaltazione di sensazioni che sembravano nuove. Tutto da salvare.

Sommariamente questo è stato il nostro senso del luogo, un antro più astratto rispetto a quelli dei nostri viaggi, spesso soffocante e dove abbiamo avuto anche il timore di riscoprirci, ma certamente ancora inesplorato. Per noi comunque una peregrinazione, che spero riusciremo a custodire insieme a queste “parole nuove”; perché se i viaggi, come disse Pessoa, sono davvero i viaggiatori stessi, ci farà davvero comodo avere il nostro senso del luogo in questa lunga strada dissestata che dovremo percorrere.

Autore

Antropologa, giornalista scientifica e copywriter, è caporedattrice per ThetripMag a tempo pieno. Metà italiana e metà giordano-palestinese, vive rincorrendo la cosa che ama di più: andare a caccia dei vocaboli giusti per raccontare storie che rimangano impresse. Ama la natura ma anche la tecnologia, i contesti multiculturali, il giornalismo d’inchiesta e i libri di fantascienza.