Giunti al termine della prima edizione di FILO – Aperitivi filosofici, abbiamo cercato un metodo per restituire le riflessioni nate durante gli incontri. Il nostro obiettivo, durante tutto il percorso, è stato quello di interrogarci su temi che fanno parte del nostro quotidiano, per acquisire una maggiore consapevolezza circa quegli argomenti che tendiamo a dare per scontati. Tutte le persone coinvolte in qualità di ospiti hanno apportato un loro personalissimo contributo iniziale utile ad innescare il dialogo.
Ogni incontro, poi, ha preso una sua forma, che somigliava a una forma di insieme.
Per questo vogliamo condividere una sintesi dei concetti e delle riflessioni derivanti dai nostri dialoghi. Restare fedeli alla realtà ci è sembrato il modo migliore per raccontare quello che è successo.
Gli articoli che pubblicheremo nei lunedì di agosto non hanno la pretesa di fornire un loro punto di vista sul mondo e sul nostro rapporto con esso, anzi: vogliono essere l’insieme di tanti punti di vista, domande e dubbi che si sono sollevati nei quattro appuntamenti.
Cominciamo a riavvolgere il FILO dal primo incontro, Virtuale o Fisico.
Riavvolgere il FILO: Virtuale o Fisico
Siamo nel mezzo della rivoluzione digitale. Possiamo comunicare agevolmente con persone che vivono in ogni angolo del mondo. Rischiamo di trasformare i nostri amici in contatti. Siamo costantemente connessi con il mondo, immersi in una nebulosa di informazioni costituite da bit.
In questa corsa stiamo forse perdendo di vista il prossimo? Ha senso dialogare con persone dall’altra parte del mondo se fatichiamo a vedere il volto di chi ci cammina a fianco?
L’ospite del primo appuntamento è stata Sara Varcasia, antropologa ed esperta di comunicazione digitale.
Per introdurre l’argomento è partita dalle origini, ovvero dalla sua prima esperienza di contatto con un essere virtuale. Stiamo parlando del Tamagotchi, un piccolo oggetto di intrattenimento per bambini che ha conosciuto la massima diffusione negli anni ‘90. All’interno di quel piccolo ovetto, c’era un animaletto digitale che, per sopravvivere, richiedeva l’assistenza e la cura dell’utente umano.
Non è difficile immaginare quello che succedeva spesso: l’esserino virtuale, per mancanza di cure adeguate, spiegava le ali e volava in cielo.
Quando Sara, bambina, si è ritrovata di fronte alla “morte” del suo Tamagotchi è scoppiata in un pianto incontrollato e indimenticabile, conoscendo una nuova forma di dolore.
Questo contributo è stato l’input per riflettere sull’influenza che l’universo virtuale ha su di noi. Perché se abbiamo ben chiaro che la rivoluzione digitale ha considerevolmente semplificato le nostre vite, non ci è chiaro allo stesso modo quale sia il prezzo da pagare.
Viviamo nel tempo dell’iperconnessione
Questo significa che grazie al medium digitale abbiamo la possibilità di connetterci con tutto il mondo. La rete non conosce confini e noi possiamo dialogare con persone che vivono in ogni angolo del globo, in tempo reale. Sì, siamo circondati da contatti ma possiamo affermare di sentirci davvero in compagnia? Oppure, forse, siamo sospinti nella direzione inversa fino a provare una sensazione di solitudine in questa rete sconfinata?Anche i social network sembrano trarre in inganno; ci danno l’illusione di essere considerati molto più di quanto accada nella vita reale: un like, una richiesta di amicizia, un commento, sembrano prospettarci un mondo di relazioni e attenzioni. Ma anche qui ci siamo posti delle domande, tanto che abbiamo scelto di usare il termine illusione.
La domanda, dunque, si proietta sul mondo delle relazioni: in questo contesto, che ruolo ha per noi il prossimo, il nostro vicino, la persona con cui possiamo avere un contatto fisico? Riusciamo ancora a conservare il prezioso contatto diretto oppure va via via sfumando attraverso la luce led dei monitor?
Il prossimo siamo noi
E se di relazioni si parla, allora proviamo a parlare anche della relazione primaria, quella che ci riguarda più da vicino, ossia la relazione con noi stessi.
La nostra intimità è sempre più esposta, pubblicata, condivisa. Quelle parti profonde che eravamo soliti condividere con le persone più vicine, oggi vengono diffuse con estrema facilità. E questo accade senza che ci sia una condizione di prossimità: possiamo farlo quando siamo comodamente seduti sul divano di casa, da soli.
Ci siamo chiesti, dunque, se questo bisogno di parlare di sé, di condividere informazioni e di svelare la propria intimità non sia un modo per sublimare la mancanza di prossimità.
Ci siamo ritrovati d’accordo sull’assunto che del prossimo non si può fare a meno. Il prossimo è la sponda che ci offre la possibilità di capire qual è la nostra posizione nel mondo e ci aiuta a definire la nostra identità.
Ma è pur vero che siamo sulla cresta dell’onda della rivoluzione digitale, e non possiamo privarci neppure dell’universo virtuale.
Nel mezzo c’è la nostra natura umana. Possiamo sforzarci di costruire una nostra etica digitale che ci permetta di non sostituire il contatto fisico con qualcosa di più ineffabile.