Gli Appunti dalle Città in Piena sono il contributo di Anna Scirè alle serate di Metronauti, il radio live show di Valerio Mirabella e delle Industrie Fluviali. Brani che setacciano in verticale quel gigantesco organismo vivente che chiamiamo città traendo ispirazione dagli ospiti che, di volta in volta, si alternano ai microfoni di Metronauti.
Li pubblichiamo su Biosfera, ma si possono anche ascoltare dal vivo sulla terrazza delle Industrie Fluviali e in podcast su Spreaker.
Ascolta “METRONAUTI #6 Ospite Francesca Ferri (16/07/21)” su Spreaker.io sono perché noi siamo,
Anna Scirè
io suono perché noi suoniamo
Il 16 luglio, Metronauti ha ospitato Francesca Ferri. La regista e interprete è fra le più importanti artiste ad aver esplorato la storia e le tradizioni del canto polifonico, e le pieghe più intime che lo legano alla vita di comunità spesso remote. Metronauti è andato allora alla ricerca di un’origine ancora più remota, quella che ci lega tutti alla terra madre africana. E prima di percorrere il percorso che il canto polifonico ha fatto in Europa, Anna Scirè e Valerio Mirabella ci hanno portato in Africa, con la musica e con gli Appunti dalle Città in Piena.
Dall’Africa alle Città in Piena
L’Africa è uno stato, uno stato mentale.
È un mondo, un mondo immenso, intenso, ombelicale.
L’Africa è un villaggio, il villaggio del “Io sono perché noi siamo“.
È casa, nido e madre, tamburo primordiale e utero ancestrale, Mama Africa, triangolo e spirale.
L’Africa è una preghiera, mani giunte sul ventre del mondo, una nenia accompagnata da una kora, colonna portante, vertebrale e sonora.
L’Africa è quella cosa che il solo nominarla, cambia l’atmosfera.
Si ferma il vento.
L’àncora si solleva dal fondo,
si fa piuma, in un momento,
si abbandona alle correnti, al movimento.
Nominarla è come girare la boa,
punto di svolta,
sguardo lungo a prua.
Le persone pigiate dentro le metro del mondo chiudono gli occhi, dentro vedono colori.
I piedi pigiati dentro le scarpe chiuse spingono forte, vogliono andar fuori.
L’Africa al solo nominarla ti può fare diventare una persona migliore,
ricordare il cielo, risentire la sabbia,
risvegliare il leone, schiudere la gabbia,
ripensare a tutto, tutto quanto il passato
capire ciò che è stato,
chiedersi davvero, come si fa adesso da qui a proseguire,
farsi insegnare dal barrire
degli elefanti, come si fa ad essere anziani ma eleganti,
come potremmo essere ok ricchi e confortevoli
ma anche giusti e consapevoli
levarci il vizio dei conquistatori,
nei nostri cannoni mettere, sì, fiori,
reimparare a stare a piedi nudi
sulla terra nuda
rallentare il trotto inutile
abbracciare l’umano, il calmo, il nobile,
imparare a tendere una mano,
baciare una fronte,
aprire la mente.
Stasera si viaggia al sud coi Metronauti
si fa una tappa in Kenya, la terra dei tramonti,
degli alberi grandi e piatti dentro gli orizzonti
della savana calma di acacie infinite
di fotografie, riprese e lunghe attese.
Una volta penetrati questi luoghi
le ore evaporano, i minuti svengono.
Fare una ripresa, scattare una foto
diventa un gioco magico, un gesto devoto
folle attesa, che un giaguaro si svegli, faccia due passi,
che una giraffa si volti verso di te, ti guardi negli occhi.
Mama África
A minha mãe
È mãe solteira, solitaria e contemporaneamente pigiata stretta insieme a milioni di altre e di altri.
Piedi, mani e fianchi che danzano come nessuna sulla faccia del pianeta.
Una danza che trasmette grazia, dolcezza, malinconia segreta.
E mi viene in mente Caetano Veloso che viaggia per la Nigeria,
insieme a Gilberto Gil negli anni 70 mentre facevano la storia,
e che poi ci regalò righe come “O certo é ser gente linda
E dançar, dançar, dançar
O certo é fazendo música”,
che nel caso si volesse pensare
che la lingua brasiliana si possa tradurre e spiegare
vorrebbe dire: “La cosa giusta è:
essere belle persone,
e ballare, ballare, ballare.
La cosa giusta è fare musica“.
Insieme a Gil erano andati a Lagos per l’allora chiamato FESTAC ’77, World Festival of Black Arts.
C’era un ragazzo africano che guidava l’autobus che trasportava i musicisti al festival, il suo soprannome era Two Naira Fifty Kobo.
Naira è la valuta nigeriana, Kobo i centesimi, Two Naira fifty Kobo, due Naira e cinquanta centesimi, questo il prezzo che il ragazzo dava a ogni cosa gli venisse chiesta. Quanto costa la camicetta? Two Naira Fifty Kobo. Quanto costa il cappello? Two Naira Fifty Kobo.
Two Naira Fifty Kobo divenne il soprannome del ragazzo africano
e pure il titolo di una canzone di Caetano.
Perché, semplicemente,
ci sono persone che con la vita ci fanno le canzoni.
Perché la cosa giusta è fare musica, e la storia racconta che il nostro ragazzo autista nei momenti di pausa metteva su la sua musica, la musica africana da ballo, juju, ma anche tupi e yóruba, e nel libro Sulle Lettere Caetano racconta “lui ballava per ore sull’asfalto della strada deserta. Era brutto e magro, indossava sempre quei vestiti fantasia e ballava con gli occhi chiusi. Sembrava un Pierrot ubriaco dei carnevali di Bahia dei primi anni 60. La sua danza, però, aveva quella grazia africana e trasmetteva dolcezza e malinconia”.
Africa, Africa, che non sei solo il continente nero,
Africa magica, che sei il continente della luce e del chiarore vero,
Africa che ci insegni cose meravigliose come l’Ubuntu, quella filosofia sub-sahariana
che dice che siamo umani attraverso l’umanità degli altri,
siamo umani nella comunità,
e ancora “io sono perché noi siamo“,
io suono perché noi suoniamo.
A sud, sempre più a sud, fino alle pazze dune e al non vederle più,
fino alle frecce con le insegne “52 giorni di cammello fino a Timbuctù“,
fino al non dare mai un appuntamento,
perché pensare di possedere il futuro è un atteggiamento
di pura insolenza e negazione del magico
invece noi piano, la voglia e l’umiltà,
noi piano, con del futuro il sogno e l’ignoto
come un innamorato
noi a bassa voce, “Forse ci vedremo dopo l’inverno, Inshallah”
e quel che dev’essere sarà.
Sempre più a sud, a sud del corpo,
geografia emozionale,
emisferi della mente,
tropici del cancro, del capricorno, del mio ventre,
come il ventre dell’Africa, madre e gravido di tutti noi,
siamo tutti africani, gli africani siamo noi,
il ventre dell’Africa pieno di acqua ed eroi
ventre tondo e totale
come un tamburo al sole
se appoggi la mano senti come si muove
dentro
la vita delle vite,
le savane infinite,
capire a fondo ogni cosa
accettazione radicale della vita che osa
tempestarti di sabbia, di paura, di bellezza
l’assurdo essere e la sua insostenibile – leggere
leggere le dune, le mani, le nuvole,
leggo che siamo uguali, così uguali, identici
e poi così diversi, rari, autentici,
tu e l’altro,
Solve et Coagula,
perenne formula,
io sono perché noi siamo.
Evviva Mama Africa,
che vive alla fine del mondo,
all’inizio del tempo,
i nomadi ci camminano dentro
a sud, sempre più a sud,
té alla menta a ogni stazione,
le narici secche, la benedizione,
il sole cocente, la pioggia scrosciante,
evviva le antropologie
i sotterranei, i tetti, le periferie,
evviva Foreste Fluviali, il Delta, la Riva,
ovunque siamo, siamo sempre bellamente alla deriva,
ecosistemi della cultura,
ogni stagione è fioritura
dagli Appunti dalle Città in Piena è tutto
siamo ancora traversata, incontro, nascita, scrittura
e a volte sembra
nei momenti più impensati delle cose
nelle regioni più buie e tempestose
che una parte di noi sia sempre in Africa, è la nostra natura.
—Anna Scirè

Direttore artistico del Rome Psych Fest, fondatore della webradio The Roost e del Folk Fest, ideatore e conduttore di That’s All Folks: Valerio Mirabella è un narratore di musica, capace di dare voce a retroscena, percorsi, dettagli e grandezze di chi vive di musica o per la musica. Partito dal Cafè Fandango, il suo live show radiofonico è stato trasmesso da club piccoli e grandi con la vocazione per la musica dal vivo: Angelo Mai, Circolo degli Artisti, Ausgang, Lanificio 159, 2N, Grandma Bistrot, 2Periodico Café.
Metronauti è la sua ultima creatura.