“Noi dipendiamo dalle acque correnti adesso come 8000 anni fa”
Stefano Fenoglio
L’opera di Officinadïdue, il duo composto da Vera Bonaventura e Roberto Mainardi, è certamente la più ambiziosa e imponente realizzata alle Industrie Fluviali nei primi 4 anni di vita dello spazio.
Come altre opere create nell’hub di Ostiense, scaturisce dai suoi elementi fondativi: l’industria della lana alle origini della ex-fabbrica dove sorge, il fiume che scorre a pochi metri e che ne ha ispirato la rinascita.
Sono elementi che attecchiscono facilmente nell’immaginazione delle artiste e degli artisti chiamati a intervenire in questi spazi. Bonaventura e Mainardi, però, hanno cercato una soluzione che permettesse di porre queste due entità apparentemente distanti – una industriale l’altra naturale, una animale l’altra minerale, una geologica l’altra antropica – in una condizione di sintesi organica, senza ricercare accostamenti e convivenze. Per farlo, li hanno cuciti assieme, letteralmente, impiegando un filo lungo 350 metri, vale a dire la distanza che separa le Industrie Fluviali dal Tevere. Uno spesso filo realizzato con scarti di lavorazione della lana, che tratteggia un percorso fluviale dalla geometria rigorosa. Un filo che attraversa stanze, muri, pavimenti, arrampicandosi su scale e pilastri, vorticando in un andirivieni mai caotico, nel pieno stile d’ispirazione minimale che caratterizza tutta la poetica visiva di Officinadïdue.

Questo percorso di 350 metri inizia a terra, all’ingresso dello spazio. Una placca d’acciaio è il segnale d’inizio: da lì, sotto il livello del pavimento, protetto da un vetro allungato, il cavo lanoso inizia il suo viaggio e presto si tuffa per raggiungere il piano sottostante e l’antica caldaia di ghisa della vecchia fabbrica. Prosegue ordinato, passando da un piano all’altro dell’edificio, toccando ogni angolo, finché sparisce in un grande masso calcareo levigato nei secoli dall’azione del fiume.

Il risultato è un’opera che non si trova all’interno dello spazio ma coincide con esso, lo rappresenta, lo ritrae. Un ritratto non semplice, considerato quanto mutevole è il soggetto: uno spazio ibrido talvolta sfuggente che richiede di immergersi nelle sue stanze, di conoscere la comunità che lo popola, prima di afferrarne appieno l’essenza.Ma se le premesse da cui muove l’opera sono evidenti, i risvolti appaiono più sfaccettati, e rievocano il ruolo che i fili – intrecciati, liberi, invisibili, tesi – rivestono lungo la storia dell’arte dell’ultimo secolo. Da Maria Lai a Pae White, da Alexander Calder a Tomas Saraceno fino a Chiharu Shiota, il filo ci ricorda in un tempo la nostra fragilità e la forza che traiamo legandoci agli altri, ci rammenta quanto siamo esposti ai capricci del presente e ci collega agli eventi passati. Ed ecco che questo filo che corre per 350 metri riesce a rappresentare tutto questo. È un tramite con il passato dei luoghi che percorre, fragile ma affidabile, legando assieme non solo i luoghi e il tempo, ma anche le persone: le curatrici, i curatori e gli allestitori delle Industrie Fluviali che hanno condiviso ogni fase di quest’opera con Officinadïdue in simbiotica collaborazione, dando vita a un’officina di tre, di dieci, di tante e tanti, inscindibilmente intrecciati. Come un filo.

Frutto della collaborazione fra Officinadïdue e le Industrie Fluviali, 350 Metri è l”ultima delle quattro opere che fanno parte dell’edizione 2023 di WIDE – art based spots.
La ciurma delle Industrie Fluviali raccoglie dentro Biosfera le idee più stimolanti e i punti di vista più illuminanti. Arte, innovazione sociale e sviluppo del territorio sono i temi che ci interessano maggiormente, e ci impegniamo a intercettarli per alimentare un vero e proprio ecosistema della cultura.