
Stand up for your laughs, ovvero Perché penso che la stand-up comedy alle Industrie Fluviali ci stia proprio bene.
Chiamatela satira, umorismo, comicità. Comunque vogliate chiamarla, avrete notato che l’argomento genera sempre due fazioni contrapposte.
Da un lato, quelli che alla prima critica rivolta ad una battuta urlano alla censura, evocano Giordano Bruno, smettono di ascoltare.
Dall’altro, quelli che alla prima battuta che tira in ballo un argomento che tocca particolarmente la loro sensibilità, parlano di fascismo, si appellano al buon gusto, smettono di ascoltare.
Ecco: dopo aver urlato le loro opinioni in caps lock, tutti smettono di ascoltare. Una scena che, in particolare sui social, si ripete quotidianamente per qualsiasi argomento, dalla fecondazione assistita alla ricetta della carbonara. Ma che, quando al centro della disputa c’è una battuta, esplode in scontri feroci e in giudizi netti come in pochi altri contesti. E considerata la mole di tweet, meme, video a contenuto umoristico che circola (si tratti della geniale intuizione di abili pensatori e pensatrici o della boiata di un qualunque goliardico), non parliamo di casi isolati.
È comprensibile. L’umorismo tira in ballo tanto gli istinti (la cosiddetta risata di pancia) quanto il raziocinio. Soddisfa i nostri appetiti intellettuali ma fa leva su automatismi che non riusciamo esattamente a controllare. Per dirla come Freud (ne Il Motto di Spirito), l’umorista traduce i contenuti del suo inconscio in una forma intellegibile per il suo pubblico, al quale spetta il compito di fare il processo inverso. Questo, inevitabilmente, coinvolge tutto ciò che è alle fondamenta del nostro vivere, agire, pensare. Le nostre opinioni, il nostro vissuto, la nostra morale. Più una battuta sarà in grado di far breccia nel nostro sistema di valori morali, più farà ridere. Al contempo, più scombussolerà quello stesso sistema di valori, più rischierà di confrontarsi con qualcosa che difficilmente siamo disposti a mettere in discussione.
Nella stand-up comedy, che elimina le maschere, le trovate, i trucchi, e lascia sul palco solo persone capaci di far ridere condividendo col pubblico le proprie vite e osservazioni sul mondo, e che fa cadere ogni barriera fra l’artista e la sua arte, questa considerazione vale ancora di più.
I limiti della satira vs. i nostri limiti
Come ricordava Jim Jeffries in Intolerant, l’umorista di talento deve avvicinarsi il più possibile al limite di questo sistema di valori per scatenare una risata. Ma c’è sempre il rischio che, nel tentativo di avvicinarsi a questo limite, possa superarli. Un rischio che deve correre.
Nella società globalizzata dei paesi cosiddetti occidentali, che ha demandato all’immediatezza e alle distorsioni dei social network il ruolo di principale pubblica piazza, superare questi limiti dà puntualmente origine a polemiche di proporzioni pantagrueliche. Ma non è questo il punto di questo post. Il punto è che, ancora più spesso, ci approcciamo a una battuta con circospezione, intenti a valutare quanto il suo contenuto rappresenti il nostro sistema di valori. Pronti, quando non lo fa, a collocarla nell’insieme delle “cose sbagliate” e nei sottoinsiemi delle “persone che hanno torto”. Sottoinsiemi che includono ulteriori sottoinsiemi, che cambiano a seconda del posizionamento delle nostre idee: razzisti, buonisti, ignoranti, radical-chic, sessiti, sediziosi, eccetera.
Una volta che abbiamo collocato tutto in questi insiemi, ci confortiamo nei confini rassicuranti dei nostri valori. E, a quel punto, smettiamo di ascoltare.
È qualcosa a cui penso spesso quando Interno Notte porta i suoi artisti alle Industrie Fluviali. Ci penso perché a Industrie abbiamo messo al centro di tutto un valore più di ogni altro: l’apertura. Apertura che diventa inclusione, che diventa un processo continuo per far sì che nessuno sia escluso dalla nostra struttura, da quello che vi succede dentro, e da quello che ci sta a cuore fuori.
Ma anche apertura verso ogni idea che non implichi odio, discriminazione, violenza.
Ecco, è qualcosa a cui penso spesso quando Interno Notte porta i suoi artisti alle Industrie Fluviali. Ci penso perché so che, una volta che il nostro percorso di vita ci ha portati a identificare qualcosa come importante (in questo caso, il rispetto delle minoranze e degli esclusi), non è facile ascoltare qualcuno farne materiale per far ridere gli altri. E so bene che, quando qualcuno prova a far ridere gli altri parlando di qualcosa che ci sta a cuore, attribuiamo a quel qualcuno un giudizio che grosso modo suona così: “non sai di cosa stai parlando, pensi di essere divertente, la pensi esattamente all’opposto di me”.
E smettiamo di ascoltare.
Battute da Interno Notte
È qualcosa a cui penso spesso quando Interno Notte porta i suoi artisti alle Industrie Fluviali. E ci sono un paio di esempi che secondo me sono esemplificativi.
Quando Richi Selva (uno dei comici di Interno Notte già passati dalle Industrie Fluviali) racconta le bizzarrie di una figlia con un disturbo dello spettro autistico, e la cinica frustrazione di un genitore, non è un insensibile bullo ignorante che prende in giro un bimbo. È davvero il padre di una bambina con un disturbo dello spettro autistico che condivide osservazioni sulla sua vita in modo originale, a tratti illuminante, per certi versi triste, ma indubbiamente divertente. Ci scandalizza quello che dice, o il fatto di trovarlo divertente?
Un altro esempio. Quando, nel 2019, Giorgio Veloccia (un altro dei comici di Interno Notte già passati dalle Industrie Fluviali) è finito in una shitstorm perfetta per una battuta che tirava in ballo Liliana Segre, sono intervenuti tutti (dai moderatori di facebook al Tg1 a Fabio Fazio a Gad Lerner) per condannare le opinioni antisemite che la battuta implicava.
Un meccanismo sano e giusto. Sondiamo e monitoriamo le pulsioni della società per impedire che sfocino in un incentivo a ciò che (con sacrificio, dolore e lotte) abbiamo capito essere tossico per la convivenza e il benessere delle persone. L’antisemitismo è una di queste pulsioni che vogliamo, e dobbiamo, soffocare, al pari di razzismo, sessismo e ogni altro genere di intolleranza e discriminazione, in qualunque forma e luogo.
Ripeto: un meccanismo sano e giusto. Però, per applicarlo correttamente a una battuta, bisogna vedere cosa la battuta (la quale, per la cronaca, si chiedeva con un punto di domanda finale se “Liliana Segre sul documento di identità avesse scritto deportata“) dicesse. E quale fosse il suo obiettivo. E se Giorgio Veloccia fosse davvero un antisemita, aldilà della battuta. Allora avremmo visto che l’obiettivo della battuta siamo noi, il nostro manicheismo, la strumentalizzazione di una figura (quella della senatrice Segre) molto più alta e importante delle nostre beghe e divisioni, che riduciamo a spauracchio per tracciare il confine fra noi e chi non la pensa come noi, senza sapere nulla della sua vita, della sofferenza che ha attraversato, dell’importanza delle sue testimonianze. Siamo noi che la riduciamo a deportata, e la battuta ce l’aveva proprio con noi.
Ma siamo troppo diffidenti, troppo sulle difensive, troppo pronti a reagire, a prendere posizione, ad additare la stupidità altrui, per riuscire a riflettere prima di schierarci con la paura di essere confusi con chi potrebbe non pensarla come noi.
Preferiamo smettere di ascoltare.
Stand up for your laughs
Una battuta può essere debole, mal scritta, scontata, affatto divertente. E, una volta che l’abbiamo davvero capita, possiamo finalmente usare questi come criteri per valutarla. E non serve un cretino come me per notare che nessuno troverà mai sufficiente motivazione per scatenare una tempesta di polemiche solo perché una battuta non è divertente.
I famigerati “limiti della satira” sono un argomento velenoso. Sono stato fra gli autori che, ormai dieci anni fa, hanno dato forma al progetto Umore Maligno, vivendone il momento di maggiore vivacità ed espansione. I limiti della satira erano probabilmente il fulcro di quell’esperienza: spingiamoli al massimo, mettiamo in discussione ciò che la nostra bolla considera intoccabile, senza crisi di sensibilità. Kill your idols! Quando ne sono uscito era la metà del 2012: non è stato in polemica con una battuta che si era spinta troppo in là, ma tutto ciò che girava attorno ai limiti della satira hanno svolto certamente un ruolo non di secondo piano in ogni ragionamento che potevo fare.
Ecco perché è qualcosa su cui mi sono interrogato tanto.
Forte di quella esperienza, ho pensato di preparare un piccolo vademecum per chi non ha mai partecipato a una serata di stand-up ma che vorrei, non so se vorrei, forse meglio di no, andiamo ma pronti ad offenderci, ma non era meglio Maurizio Battista?, eccetera.
10 consigli che improvviso sul momento per chi vuole assistere a uno spettacolo di stand-up comedy
- Non confondete l’umorista con il suo umorismo: spesso le persone sono migliori delle loro battute, ancora più spesso è il contrario, ma non incide sullo spettacolo.
- Nessuno è obbligato a ridere ma, se qualcosa fa ridere, nessuno deve sforzarsi di non farlo solo perché teme il giudizio degli altri.
- Difficilmente una battuta cambierà le vostre opinioni, così come difficilmente quello che dicono gli altri riesce a cambiare l’opinione di chiunque in qualsiasi altro contesto.
- Quando una battuta vi conforta ribadendo ciò che pensate, quando è consolatoria, indulgente, amichevole, probabilmente non è una battuta.
- Se non siete astemi, non dovete guidare e non avete pregiudizi nei confronti dell’alcool, bevete prima e durante lo spettacolo, o fate qualsiasi cosa facciate quando vi sentite troppo rigidi e la cosa non vi piace. Perdere un briciolo di inibizioni ci fa preoccupare meno di ciò che gli altri pensano di noi, e ci fa ridere con più onestà verso noi stessi.
- Se il comico non rappresenta né la nostra idea di artista né di società, se è il solito maschio-bianco-medioborghese, è perché anche la comicità – come quasi ogni altro settore delle arti – è stata appannaggio degli uomini per via di una società che ha largamente impedito alle donne di essere considerate divertenti. E ora che questa cosa cambi, ma non prendetevela con il comico.
- Se ridete a una battuta che ha incupito lo sguardo del vostro partner, è troppo tardi per rimediare. Il rientro a casa sarà spiacevole e non c’è nulla che possiate fare per impedirlo: tanto vale godersi lo spettacolo.
- Il punto 8 non c’è ma un elenco di 9 consigli mi sembrava brutto.
- Cercate sul web qualche comedian dal repertorio di grande spessore. Cercate George Carlin, Dave Chappelle, Bill Hicks, Margaret Cho, Doug Stanhope, Sarah Silverman, Chris Rock, Ricky Gervais. Se nessuno di loro è di vostro gradimento, evitate di andare a una serata di stand-up comedy.
- Non smettete mai di ascoltare.
Copywriter e cultural manager alle Industrie Fluviali.