Periploca Graeca, pianta crudele

La Serra Empirica è un progetto a cura di Zaelia Bishop. È la terrazza botanica delle Industrie Fluviali, un giardino in divenire che ospita sedici diverse piante rampicanti rare e insolite. Ma è anche un ciclo di storie di intima umanità e universale esistenza. Un racconto di persone e di piante, e del rapporto che lega esperienza sensibile, curiosità e saperi.
Ecco allora, dalla Serra Empirica, la Periploca Graeca, pianta crudele.

Periploca Graeca
La periploca graeca, pianta crudele

Nel cuore più impenetrabile del bosco avvolge le sue spire la Periploca, strangolatrice di alberi. A seguirne i viluppi si rischiano le vertigini, e anche si rischia di inoltrarsi ancora più nel fitto fino a smarrirsi. All’apice della sua crescita infatti questa elusiva e serpentesca creatura raggiunge e supera i dieci metri, espandendosi di tronco in tronco, soffocandoli fino a spezzarli

Il primo a studiarla è Dioscoride Pedanio, figura non meno misteriosa della stessa Periploca: nato in Asia sotto l’impero di Caligola (intorno al 30 d.C.) porta con sè il titolo di medico, ma appare come un mistico viandante e forse uno stregone. Viaggia di città in città, curando i pazienti con le erbe che incontra e studia lungo il suo cammino, e intanto redige il proprio erbario, il De Materia Medica. Questo testo, compilato in una vita di pellegrinaggi per l’Impero Romano, ancora fino al XVII secolo e nelle sue moltissime traduzioni, è stato uno dei principali riferimenti per lo studio delle piante, medicinali in particolare.

Sapere dove per certo Dioscoride abbia trovato la Periploca è impossibile, forse in Anatolia oppure lungo il Peloponneso. Nei suoi appunti la chiama Apocino e così rimane descritta per secoli (e secoli e secoli e secoli) tra le pagine del suo erbario:

Simile alle serpi, ripiena di un succo candido oppure giallo in grado di uccidere uomini, cani e pantere”. 

(Quando si dice la dose fa il veleno: Dioscoride non può saperlo, ma gli Etruschi ricavavano dalla radici di Periploca un additivo per niente letale e invece allucinatorio, destinato ai sacerdoti del culto di Vanth, dea etrusca degli Inferi.)

Nei primi anni del ‘500 la Firenze di Cosimo I dè Medici è un vero e proprio calderone sul fuoco delle arti e delle scienze, e ideale tappa di ogni viaggiatore a spasso per terre più o meno esplorate del mondo fino ad allora conosciuto. 
Di questa atmosfera la corte medicea rappresenta una perfetta miniatura, tumulto com’è di pittori e astronomi, architetti, scultori e alchimisti e naturalmente di mercanti e ancora più naturalmente di botanici. 
Tra i mercanti a corte c’è un monaco greco, famoso per la gran qualità dei balsami e resine che riporta dai suoi viaggi in Medioriente; anche è molto ricercato per le stoffe, le tinture e le semenze esotiche. Tra i botanici spicca invece Luca Ghini, che è già il medico personale di Cosimo I e sarà il fondatore, nel 1545, dell’Orto Botanico di Firenze. 
Nel mezzo dei traffici cortigiani i due s’incontrano quando il monaco è da poco rientrato dalla Siria ottomana, e a Ghini mostra due baccelli gonfi di semi, di una pianta sconosciuta. 
Unico indizio, annodato ai baccelli, è un foglietto col nome Periploca Repens ( – serpeggiante)

Banchetto Grottesco, anonimo toscano, 1630

Per Ghini, che intanto questi semi li ha piantati nel suo giardino, quel nome rimane indecifrabile finchè la pianta non si rivela. Annota allora nei suoi appunti:

Dai semi nasceva una pianta che, se fosse stata tenuta da sostegni, avrebbe potuto risalire un’altissima torre”.

Come tutti i naturalisti del tempo, anche Ghini conosce bene il De Materia Medica, e nella mostruosa crescita della pianta ritrova la descrizione che Dioscoride fece dell’Apocino, ormai millequatrocento anni addietro. 
Le sue forme incantatrici, le foglie lucenti come scaglie e i piccoli fiori violastri hanno intanto catturato anche due formidabili allievi di Luca Ghini: Gherardo Cybo, che inserirà la Periploca nel primo e più antico erbario italiano (ora detto Erbario dell’Angelica, 1545), e Ulisse Aldrovandi, che la consacrerà nelle pagine del suo monumentale Erbario Aldrovandiano

Periploca graeca
La periploca graeca, qui chiamata Apocino come battezzata da Dioscoride nel I secolo d.C.

Nel 1936, la botanica Eleonora Francini conduce uno studio sulla vegetazione indigena dell’Etruria, in particolare riguardo piante sopravvissute all’ultima glaciazione, terminata dodicimila anni fa. Nell’archivio dei testi che l’accompagna in questa esplorazione paleobotanica c’è una copia dell’Erbario di Cybo. E infatti è su quelle pagine che ritrova le foglie di Periploca, tra i fossili della glaciazione. Così ne scrive, nel saggio Ricerche sulla vegetazione dell’Etruria marittima (1937): ”Alcuni reperti di Periploca Graeca provano che essa vi si trovava dal Quaternario Antico, e non vi sono obiezioni contro l’ipotesi della sua permanenza durante il periodo glaciale”.
Un arco temporale che sembra davvero lo sconfinato letargo di un rettile, che all’improvviso riappare mentre si esplorano le regioni più recondite dei boschi, che lo temono e comunque lo nascondono.


Mentre cresce avviluppandosi al suo supporto, la Periploca Graeca nella Serra Empirica è riuscita anche a fiorire.

Autore

Zaelia Bishop è un artista nato a Roma nel '77.