Mezzo Pieno / Rinnovamento delle istituzioni culturali

Con Mezzo Pieno, raccogliamo testimonianze e riflessioni di chi si occupa a vario titolo di editoria, istituzioni, produzione culturale, turismo, inclusione, ricerca scientifica, ambiente, disabilità, psicologia, giornalismo e design attorno alla domanda: cosa possiamo salvare dell’anno della pandemia?

Oggi risponde Stefano Monti, partner di Monti & Taft

Rinnovamento delle istituzioni culturali

Il rinnovamento delle istituzioni culturali

Per rispondere al lockdown, gli istituti di cultura hanno ampliato le proprie attività online. Sono aumentati i canali social dei musei e le proposte di mostre online […] Il mondo istituzionale dell’arte ha preso coscienza della necessità di avviare un processo di innovazione interno

Stefano Monti

Avete mai sentito parlare del film Requiem for a Dream? Un film meravigliosamente atroce. Di questo film, qualche anno fa, era presente in rete un trailer che presentava il film come fosse una “commedia romantica”. Un’operazione di “cambio prospettiva” che, per chi ha visto il film, aveva un effetto dirompente.
Raccontare il 2020 come un anno positivo rievoca un po’ quella sensazione. Ed è una sensazione di “Eureka”, perché siamo così abituati a pensare al 2020 come l’anno della pandemia che forse ci è sfuggito qualcosa. Andiamo con ordine.

Primo punto positivo: per rispondere al Lockdown gli istituti di cultura hanno notevolmente ampliato le proprie attività online.
Sono aumentati i canali social dei Musei, si sono incrementate le proposte di “mostre online”, ed è in genere aumentata la percezione dell’importanza dell’arte nella nostra vita quotidiana.
Non tutte le iniziative hanno portato a grandi riscontri in termini di pubblico ma quello che conta è che il “mondo istituzionale dell’arte” ha preso inevitabilmente coscienza della necessità di avviare un processo di innovazione interno.
Soprattutto, si sono risvegliati i “giganti”: il settore che ha mostrato non solo maggiore vitalità ma anche maggiore “impatto” sulla vita delle persone è stato quello bibliotecario. Cosa che gli osservatori meno accorti potranno apprendere con sorpresa, ma che in realtà non dovrebbe stupire affatto. Le biblioteche, infatti, già da anni hanno avviato processi di “rinnovamento” che, nelle fasi più acute del Lockdown, è finalmente “esploso” come una sorpresa.

Secondo punto positivo: il riconoscimento “palpabile” del turismo e, in particolar modo, del turismo culturale, come una leva economica importante per il nostro Paese.
Certo, dell’importanza economica e sociale che cultura e turismo rivestono nelle nostre vite se ne parla ormai da anni, ma la loro rilevanza non è mai stata chiara come lo è oggi, o meglio, come lo è stata quando i telegiornali trasmettevano le immagini delle nostre città d’arte deserte.
Il “blocco” dei turisti stranieri ha poi favorito l’estensione di una sensibilità che vede, nel “cittadino italiano”, un importante interlocutore per il turismo: un turismo che guardi alla qualità dell’esperienza, e che miri a far scoprire nuove sfumature del territorio, aprendo, di fatto, ad una serie di offerte turistiche innovative.


Inoltre, e questo è il “terzo punto positivo”, la consapevolezza del ruolo (anche) economico della cultura ha indotto nell’opinione pubblica una serie di riflessioni che bisogna ribadire con fermezza: riconoscendo alla cultura e al turismo una rilevanza anche economica, ne deriva che è necessario contare su una capacità di governo culturale che rifletta anche elementi di politica industriale, così come è necessario favorire capacità di management all’interno delle organizzazioni attive in questi peculiari “comparti produttivi”.

Non si tratta solo di fondi. Anzi. Si tratta di avviare un percorso che porta alla costruzione concreta del futuro

Quarto punto positivo: la necessità del “rilancio”. Il nostro Paese vive oggi la vigilia di quella che potrebbe rivelarsi essere una delle politiche di sviluppo nazionale più importanti di un’intera generazione. Dobbiamo saper cogliere questo aspetto come un’opportunità, anzi l’opportunità per ricucire degli strappi (sociali, ma anche economici e culturali) che si sono nel tempo sempre più acuiti nella nostra società e che l’emergenza ha portato alle luci della ribalta.
Si badi bene: non si tratta solo di “fondi”. Anzi. Si tratta di “avviare un percorso che porta alla costruzione concreta del futuro”. Di immaginare un’Italia migliore.

E questo è infine il quinto e ultimo punto: l’Italia ha capito che può essere anche “grande”. Non sempre e non all’improvviso. Ma lavorando. Duramente e con costanza. Una grandezza che è fatta di “rigore”, “professionalità” e “voglia di crescere”. Il 2020 sarà l’anno del COVID. Ma sarà anche l’anno di coloro che, guardando alle proprie città, ai propri monumenti, alla propria cultura, all’opera, all’inno nazionale, hanno pensato: voglio un Italia migliore.

Autore

Partner di Monti&Taft, insegna Management delle Organizzazioni Culturali alla Pontificia Università Gregoriana. Con Monti&Taft è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisory, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Fornisce competenze a regioni, province, comuni, sovrintendenze e ha partecipato a numerose commissioni parlamentari. Si occupa inoltre di mobilità, turismo, riqualificazione urbana attraverso la cultura. Il suo obiettivo è applicare logiche di investimento al comparto culturale.