L’Uomo delle Foglie
Londra, Postman’s Park. Ogni minuto che passa a raccogliere le foglie è uno in più regalato a chi corre nella City, che qui giunge e s’arresta, sia chi corre, sia il minuto. L’uomo delle foglie è più di un giardiniere, più di un impiegato pubblico: l’uomo delle foglie è un tipo d’uomo molto umano, che fa del bene. Non solo sistema fiori, o il prato (all’inglese), o le foglie degli alberi che proteggono dalla pioggia e dal sole – quando spunta, finally, dal cielo bianco di Londra. Lo fa con una dedizione inesprimibile.
Dal Millennium Bridge, sul Tamigi, si taglia dritto a nord per St Paul’s Cathedral e la fermata della London Underground omonima, poi tra gli uffici in vetro della City si prosegue ancora oltre i resti di Christ Church Greyfriars e, poco prima del Museum of London e il Roman Fort Gate, chiuso a nord da Little Britain e la chiesa di St Botolph… welcome to Postman’s Park. È sempre aperto, tutti i giorni, tutto l’anno. C’è chi ci passa anche solo per ritrovare le due scene clou di Closer, film del 2004 di Mike Nichols (lo stesso regista de Il Laureato): qui con una trama intrigante di amori e desideri e tradimenti, tra le super coppie Jude Law / Natalie Portman e Julia Roberts / Clive Owen.
Photo by Stephanie Stephenson – London Gardens Trust Photo by Stephanie Stephenson – London Gardens Trust
Tra i più vasti spazi aperti pubblici di Londra tuttora esistenti e ancora chiusi tra i palazzi, tra garden squares, corti, retro di chiese e antichi cimiteri – churchyards e graveyards – Postman’s Park è pur sempre di dimensioni minute per la sua storia e il piacere che riserva.
Nel centro di Londra è facile imbattersi in un ampio cortile recintato, genericamente detto communal garden, di quelli di quartiere, facoltosi, che la chiave ce l’avevano soltanto gli abitanti tutt’intorno, in un verde semi-privato, esclusivo per i residenti e un po’ offerto alla vista, tra le grate, di chi passa, nel profumo dei suoi fiori, nel colore delle piante e dei suoi alberi. Ve ne sono alcuni piuttosto attrezzati, campo da tennis incluso. Nel secolo scorso la maggior parte di questi giardini comuni per i residenti sono stati aperti al pubblico, mantenendo l’eredità del sapore ricercato – quasi da orto botanico – per la flora, il reticolato dei sentieri, e la cura estrema nella manutenzione. La stessa cura che l’uomo delle foglie adopera per Postman’s Park.
Postman’s Park nasce dall’unione dei giardini annessi a tre chiese d’origine medievale: St Botolph without Aldersgate (San Botulfo, patrono dei viaggiatori, oltre la porta romana di Aldersgate), ricostruita in veste settecentesca e tuttora attiva; St Leonard, Foster Lane (San Leonardo di Noblac), chiesa totalmente distrutta durante il Grande Incendio di Londra del 1666; e il camposanto di Christ Church, chiesa bombardata nella seconda guerra mondiale, con pochi resti a giardino al di là di King Edward Street. Da originale luogo di sepoltura (alcune lapidi sono ancora addossate lungo il perimetro del giardino), a metà Ottocento per una legge cittadina (il Metropolitan Burial Act) le tombe vengono spostate e il parco unificato è aperto al pubblico. Per il vicino General Post Office diventa luogo di sosta e riposo per i lavoratori locali, da cui il nome Postman’s Park (che per noi sarebbe il giardino del postino).
Photo by @andydlloyd Photo by @andydlloyd Photo by Stephanie Stephenson – London Gardens Trust
Postman’s Park, facendo il verso alla terminologia delle agenzie immobiliari di lusso, è indubbiamente una des res (desirable residence) per scoiattoli, uccelli (merli in abbondanza), una volpe saltuaria e due anatre arrivate a passeggio qui nei pressi durante l’ultimo lock down (così mi raccontano gli abitanti dei dintorni).
I fiori sono piantati sul prato e nelle aiuole a rotazione stagionale, e questo dà colori incredibili e un aspetto mutevole, quasi fantastico, a questo giardino che già nella forma irregolare, guardandolo in pianta, sembra traslato da un altro mondo – somiglia alla barca di Braccio di Ferro.
Di stabile c’è un banano. Ci sono alcune specie di rose. Ho intravisto la Davidia involucrata, che ha un nome comune stupendo: è l’albero dei fazzoletti che, mentre ha le foglie vere e proprie simili a quelle del nocciolo, seghettate, a cuore, i fiori invece sono protetti da una foglia bianca, pendula, come un nastro annodato al ramo. E l’uomo delle foglie spazza via foglie verdi e bianche, qui sotto.
Penso al levare le foglie come al levare in musica e al canto in levare (un bel ritmo), al levare in scrittura (faticoso), al levare gli strati in archeologia (quante scoperte), e alla riduzione in architettura (del secolo scorso). La sovrabbondanza è tipica di questo mondo, ma per coglierne il senso, del mondo, occorre l’arte di scoprirlo – letteralmente – da ciò che vi si ammassa sopra. Pulirlo. Less is more – meno è più, meno è meglio.
Sotto un platano c’è un angolo di Postman’s Park con un monumento molto amato dai locali: una tettoia a un solo spiovente, un portico rustico in legno che protegge tre file di targhe a mattonelle, decorate a formare il Watts Memorial to Heroic Self-Sacrifice, ovvero il monumento ai comuni cittadini che hanno sacrificato la propria vita nel tentativo di salvarne altre, e che altrimenti sarebbero stati dimenticati. Bambini salvati dall’annegamento nei canali, famiglie dalle fiamme, pedoni recuperati da attraversamenti difficoltosi per le strade o sui binari, malati. L’eroe più giovane ha otto anni, e sta a fianco a vigili del fuoco e poliziotti, semplici passanti e uomini di Chiesa, chiattaioli al porto e segnalatori alle stazioni dei treni, amici e famigliari delle vittime. A motivi floreali del primo Novecento, le mattonelle raccontano, in stile giornalistico anglosassone delle cinque W, chi ha fatto cosa, dove, quando e con un sottinteso perché.
Per esempio, Alice Ayres – da targa posizionata nel 1902 – “figlia di un muratore, con condotta intrepida ha salvato tre bambini da un palazzo in fiamme in Union Street, al costo della sua stessa giovane vita, 24 aprile 1885”. Aveva ventisei anni.
Watts sta per George Frederic Watts, pittore vittoriano che si avvicina al Simbolismo inglese dei Preraffaelliti, che ebbe per primo l’idea del Memorial, e che a sue spese ne pose le basi, con la struttura che ancora si vede più le quattro targhe iniziali dell’anno 1900, prima che lui e sua moglie si dedicassero totalmente alla Watts Gallery. Cinquantaquattro vite in totale da allora, con inserimenti discontinui e un salto temporale di quasi ottant’anni, a ricordare eroi dal 1880 al 2007, l’ultimo.
Photo by Graham Willson – London Gardens Trust Photo by Graham Willson – London Gardens Trust Photo by Graham Willson – London Gardens Trust
Per tornare all’uomo delle foglie, non pensiate sia una figura di fantasia: esiste davvero. Forse compare solo a pochi eletti, agli animi gentili. Di sicuro compare a chi sente la poesia del suo lavoro. Riporto dunque le parole di Ann Perrin, del 2016, durante la sua residenza proprio a Postman’s Park.
The Formal Lawn1
– Ann Perrin
Sebastian methodically measures
bright orange netting like an artist
marking out his canvas.
Full of tools
one wheelbarrow stands
forks, spades, brushes, stakes.
His mate kneels at one corner
carefully sifting soil, troweling edges
his head bent, intent on perfection.
Questa è la prima poesia di Ann Perrin durante sua prima residenza artistica, che poi si è ripetuta altre due volte negli anni successivi, promossa dalla Poetry School, all’interno dell’appuntamento annuale Open Garden Squares Weekend, creato dal London Parks and Gardens Trust. Un fine settimana molto seguito in città, dedicato all’apertura straordinaria degli spazi verdi nascosti nel centro di Londra, con attività collaterali importanti, come le residenze artistiche. Ecco che nel 2021 cade il 12 giugno, e include giardini pensili, rooftop segreti e più noti parchi pubblici – organizzato per il secondo anno in forma virtuale (London Open Gardens). E questo significa che possiamo assistere alla programmazione anche dall’Italia. Una formula interessante, che potrebbe essere ripensata appositamente per il verde di tante città.
Rendere le nostre città più abitabili, percorribili in spazi a misura d’uomo, significa ricordarci di averne cura, come l’uomo delle foglie. E che queste Pause Verdi possano essere di ispirazione.
1 Il prato rasato
Sebastian misura, meticoloso
la rete arancione acceso
come un artista con la sua tela.
Pieno di arnesi
una carriola in piedi
forche, vanghe, spazzole e paletti.
Il suo compagno è in ginocchio all’angolo
setacciando terra, spatolando bordi, con cura
il capo chino, intento alla perfezione.
– Ann Perrin (traduzione Lavinia Collodel)
L’autrice ringrazia la poetessa Ann Perrin per aver concesso di inserire la sua poesia “The formal lawn” per intero in questo articolo, e Arianna Scocchera, frequentatrice di Postman’s Park, per averla introdotta alla vita di questo giardino.
Storica dell'arte e autrice di base a Roma, ama viaggiare in solitaria per nuove ispirazioni. Scrive articoli, racconti e poesie. Ha pubblicato rubriche per Exibart on Paper, Inside Art, Arte e Cronaca, Marco Polo. Specializzata in arte contemporanea con master in business, è tour designer e guida turistica a Roma per visite private, e collabora a programmi di Università italiane e statunitensi.
È autrice e voce di Il Mio Bestiario, podcast settimanale con "brevi storie di animali strani molto umani".