Le riunioni sono, probabilmente, il più iconico rito professionale degli ultimi quarant’anni. Al pari della routine in catena di montaggio per i decenni precedenti.
Il lockdown le ha ostacolate, messe da parte, minacciate, ma non le ha fermate del tutto. Computer e webcam, smartphone, software gratuiti e una più diffusa dimestichezza con questi strumenti hanno moltiplicato i meeting a distanza. Trasformandoli da alternativa scomoda a unica alternativa possibile.
Con la Fase 2, i meeting tornano possibili. Ma si tratta di meeting da Fase 2, meeting da organizzare in sicurezza alla luce di quanto abbiamo imparato durante questa anomala primavera.
E, se non si vuole trascorrere una riunione monitorando ossessivamente gli altri, controllando come respirano, cosa toccano, quanto siano arrossate le loro congiuntive, restano apparentemente due opzioni. Rassegnarsi a trasferire ogni attività di gruppo online, o adeguare gli spazi. Ma procediamo con ordine.
I meeting si sposteranno interamente online?
Gli strumenti digitali sono fondamentali. Punto. L’attuale offerta di software consente di disporre di strumenti ottimizzati su esigenze molto specifiche per snellire i processi, condividere le risorse, ridurre le distanze. È da qui che passa la capacità di adattamento ad un contesto sempre più articolato e suscettibile a fattori innumerevoli e globali. Nonché ad un futuro la cui visione è mutevole.
Ma fin quando non disporremo di intelligenze artificiali in grado di progettare in autonomia, trovare nessi più sofisticati di quanto consenta un normale algoritmo e sostituirsi in tutto e per tutto all’umanità, non sarà possibile riprogrammare l’intera esistenza in versione digitale.
Anzitutto, perché abbiamo bisogno di vicinanza. Perché è la vicinanza che ci permette di esercitare e far fruttare capacità fondamentali, quali intuito ed empatia (ci torniamo più avanti).
Inoltre, perché la digitalizzazione non è un processo scontato né immediato.
L’esempio di quanto avviene a livello governativo è lampante. L’Agenzia per l’Italia Digitale è stata istituita ormai 8 anni fa. Ed eredita gran parte delle funzioni dal Dipartimento per l’Innovazione e le Tecnologie, istituito addirittura nel 2001 e soppresso con l’avvento del Dipartimento per la Trasformazione Digitale appena un anno fa. Nel frattempo, i progressi cui abbiamo assistito non sempre corrispondono all’evoluzione tecnologica o ai cambiamenti sociali.
Certo, conosciamo e – in parte – perdoniamo i tempi e le farraginosità della pubblica amministrazione. Ma non si tratta solo di tempi. Questa lenta opera di digitalizzazione dovrebbe guidare le scelte di aziende e cittadini, ma più spesso le costringe ad adeguamenti importanti che tagliano fuori la possibilità di intervenire dove sarebbe più urgente. Insomma, se ho poche risorse o poche capacità per orientarmi in una selva di soluzioni per migliorare i miei processi di produzione, amministrazione e comunicazione, doverle dedicare interamente a convertirmi alla fatturazione elettronica non aiuterà di certo il mio team ad interagire con più efficienza.
Non ci resta che il web?
Inoltre, come abbiamo detto, abbiamo bisogno di vicinanza. Per misurare le reazioni dell’altro, per sollecitarle, per intercettare umori e frammenti di idee. Per costruire quelle connessioni che si basano su troppi fattori che la comunicazione online esclude.
È la vicinanza stessa a definire l’idea di riunione.
Un post di Meeting Hub, precedente alla pandemia, illustra le direttive da seguire per organizzare la migliore riunione possibile. Rileggendolo oggi, agli inizi di quella che potrebbe essere un’inedita epoca segnata dal distanziamento sociale, saltano all’occhio le buone pratiche che, coi rischi legati al covid, vengono oggi messe in discussione. Piccole stanze per piccoli gruppi, strumenti in condivisione, pranzi a buffet.
Ripensare i meeting nella forma sembra quasi implicare di doverle ripensare nel contenuto.
Eppure, ancora una volta, l’esigenza di conversione dettata dalla pandemia può risultare meno complessa se inserita in una cornice più ampia di sviluppo di pratiche e modelli. Lo abbiamo visto con lo smart working: ridurre qualsivoglia progettualità a una soluzione di emergenza, significa risolvere un problema, crearne degli altri e trovarsi impreparati al sopraggiungere di qualsivoglia sfida in grado di imporre un cambiamento.
Si tratta di essere antifragili, come teorizzato da Nassim Nicholas Taleb. Andare anche oltre la resilienza e convertire le criticità in possibilità, favorire modelli partecipati. Predisporsi ad un perenne apprendimento che vada aldilà della propria bolla di appartenenza. Essere nelle condizioni non solo di ricavare il massimo beneficio da un ecosistema fluido e creativo, ma di restituire altrettanto.
E quindi, come cambiano le riunioni?
Il punto non è come e quanto cambiano le riunioni, i meeting, gli assembramenti professionali e civici. Il punto è cambiare l’idea granitica e fin troppo prudente (o, per meglio dire, conservatrice) che abbiamo di questo come di molte altre cose: lavoro, città, scuole. Per non ritrovarci a dover immaginare rivoluzioni continue che, ad ogni adattamento, in luogo di progressi apportano complicazioni.
Ad esempio, sfruttando le realtà che per natura ripensano gli spazi urbani in funzione del territorio, della mobilità urbana, delle ricadute sociali, delle trasformazioni in essere nel mondo del lavoro. E che dispongono di spazi pensati appositamente per accogliere vaste comunità non come masse, ma come insieme di persone alle quali dedicare strumenti e servizi su misura. Mettendo a disposizione spazi più grandi, implementazioni più frequenti, tecnologie più aggiornate, tempi più flessibili, un know-how in grado di sopperire a gap tecnologici di vario tipo.
Nel nostro piccolo, alle Industrie Fluviali stiamo riadattando gli spazi più grandi. Ottimizzandoli per i meeting e rendendoli economici ed accessibili a piccoli gruppi. Ma queste, ancora una volta, sono misure in risposta a un’emergenza. Quello che conta, crediamo, è che quegli stessi spazi sono stati pensati per essere fluidi, dinamici, sintonizzati.
La ciurma delle Industrie Fluviali raccoglie dentro Biosfera le idee più stimolanti e i punti di vista più illuminanti. Arte, innovazione sociale e sviluppo del territorio sono i temi che ci interessano maggiormente, e ci impegniamo a intercettarli per alimentare un vero e proprio ecosistema della cultura.