È impossibile fare finta di niente: il distanziamento sociale di cui stiamo facendo esperienza a causa della pandemia di COVID-19, solleva importanti interrogativi per ogni spazio di lavoro condiviso.
Per i coworking, luogo di condivisione per antonomasia di risorse, strutture e attività, ora che molte aziende non possono operare e molte altre hanno invitato i propri dipendenti a lavorare da casa, significa non solo rimodulare gli ambienti. Significa ripensare una parte – o molte parti – della propria identità. Reinventare processi consolidati. Rimparare come coinvolgere la community.
Naturale, quindi, che l’impatto con il lockdown abbia trasmesso a molti l’idea che per i coworking non sia possibile continuare a lavorare e mantenere la propria identità.
Ma è davvero così? Osservando quello che sta già succedendo nei coworking di tutto il mondo, possiamo ragionare su quali scenari si aprono.
Cosa stanno facendo i coworking?
Come per ogni altra attività, nel tentativo di prepararsi ad un futuro che appare quanto mai incerto, anche attorno ai coworking si sta scrivendo molto. Raccogliendo testimonianze di come vari hub in tutto il mondo si stanno adattando. Esorcizzare l’affollarsi di molti timori. Mettendo in fila buone pratiche adatte a questi tempi.
Ciò che maggiormente emerge, è il trasferimento online di attività e servizi. A partire dai meeting, più o meno grandi, che si sono spostati in ambienti virtuali. Risorse di cui tutti – anche al di fuori dei coworking – stanno facendo ampio uso e che possono essere ottimizzati per una community di coworkers. Ad esempio offrendo servizi su misura, supporto costante e webinar ad hoc.
Ma un coworking non è un semplice ufficio dove sono sistemate file di scrivanie e dove si organizzano riunioni. Si tratta di terreni comuni dove si muovono idee, pensati affinché queste idee collidano e diano vita a qualcosa di nuovo. Sono aggregatori di personalità e professionalità.
Come fa notare Marta Pisani su Spremute Digitali, “se il coworking 1.0 è uno spazio – principalmente fisico – condiviso da persone che hanno la necessità di sfuggire alla noia del lavorare in casa da soli, risparmiare sull’affitto di un ufficio o condividere attrezzature altrimenti costose, il coworking 2.0, arricchito delle logiche digitali, diventa uno spazio – anche virtuale – che offre servizi per coltivare nuove idee e aiutare a sviluppare una prospettiva curiosa e innovativa sul mondo”.
Flessibilità e adattamento
Questo, però, non si adatta automaticamente ad ogni contesto. Nei coworking vive una community. che, per quanto possa dirottare online le occasioni di collaborazione e contaminazione, trova nell’ambiente del coworking un luogo dove molte altre cose accadono. Eventi, workshop, convegni, visitatori: c’è molto che gravita in un aggregatore simile e molto che ne deriva. E la fruizione di questi accadimenti è spesso spontanea, non predeterminata.
In un’indagine globale condotta da coworker.com, al 21 marzo risultavano annullati il 71% degli eventi nei coworking, e il 20% degli spazi risultava chiuso.
È per questo che in molti hanno individuato vie provvisorie per mettere a disposizione il particolare know-how di questo tipo di strutture.
Come WorkSuites, in Texas, che al momento sta facendo consulenza alle piccole imprese per accedere ai prestiti governativi previsti per far fronte all’emergenza.
O come i tanti posti che stanno supportando i cittadini del proprio territorio con servizi di assistenza e presenza (ne abbiamo visto qui, parlando di spazi rigenerati).
E quindi, quali scenari si aprono per i coworking?
Quello che appare più incoraggiante, è il cambio di percezione degli ambienti di lavoro che la pandemia ha comportato. Nella stessa indagine di coworkers.com, l’hub portoghese CoworkCascais vede in questo cambio di prospettiva un’opportunità:
I coworking possono essere una buona opzione per i lavoratori per sentirsi più sicuri, essere vicino a casa ed essere più produttivi, nonché un risparmio economico per i lavoratori e per le aziende.
Allo stesso modo, secondo la canadese La Station:
Forse le aziende investiranno meno in uffici e arredi, ma più nella qualità dell’ambiente di lavoro.
La riduzione dei costi, che si renderà necessaria per molte aziende, potrà effettivamente essere determinante per ripensare definitivamente i luoghi di lavoro, come i coworking invitano a fare da tempo. Ma anche altri fattori possono concorrere a questa trasformazione.
I coworking possono trovarsi in prossimità delle abitazioni dei lavoratori e costituire un’alternativa alle sede centrali per ridurre gli spostamenti.
Sono spesso luoghi pensati per essere interamente accessibili alle persone con disabilità, disponendo già di accorgimenti ottimali per garantire il distanziamento sociale fin quando sarà necessario.
Offrono un contesto professionale a chi non ha modo di riadattarsi completamente a lavorare da casa. Senza dimenticare che i coworking sono scenari spesso suggestivi, decisamente più adatti alle videochiamate rispetto alla cucina di casa.
Garantiscono strumentazioni mediamente più avanzate di quelle che le aziende riescono a permettersi per fronteggiare il dirottamente online di molte operazioni.
Insomma, ai coworking spetta una grande sfida nel presente, ma anche un ruolo determinante per ridefinire – in meglio – la società di domani.
Intanto
Quello che ora conta di più, è rendere gli spazi sicuri con interventi di vario tipo. Riorganizzare gli ambienti, stabilire procedure chiare, garantire che i coworkers siano accuratamente informati, lavorare con creatività alle attività e alla produzione di contenuti. Insomma, assicurare il massimo della sicurezza e della prevenzione, tenendo fede alla propria vocazione.
Per il resto, l’emergenza corrente potrebbe essere l’acceleratore del processo di trasformazione non solo professionale, ma culturale e sociale, in cui i coworking sono coinvolti fin dalla loro comparsa.
Copywriter e cultural manager alle Industrie Fluviali.